lunedì 12 settembre 2022

Intervista a Giordano Alfonso Ricci

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Intervista a Giordano Alfonso Ricci







1) Da dove è nata la tua passione per la scrittura?
Prima di rispondere, mi prendo lo spazio per ringraziarti. A volte si dà per scontato che gli altri siano sempre disposti ad ascoltare ed invece l’ascolto bisogna meritarlo e chi ascolta compie sempre un atto di disponibilità. Ora non so che meriti abbia per meritare il tuo ascolto e quello di chi legge (immagino) questa intervista, ma per la tua disponibilità ho il dovere di rispondere con la massima sincerità e a modo mio: cioè senza filtri, schermi, maschere e pose da intellettuale che non sono.

Mi hai chiesto delle origini della mia passione per la scrittura e invece io non sono per niente appassionato di scrittura. Scrivo è vero… ma lo faccio usando la scrittura allo stesso modo con il quale uso la parola.
Ho qualcosa da dire? La dico. Questo meccanismo non è che fa tanta differenza tra parola e scrittura.
A me scrivere costa. Hai presente un tale che a cui piace sciare e passa nove mesi l’anno su una scrivania? Be’ quello… se non vuole lasciare i legamenti alla prima curva su una pista da sci, la prima cosa che deve fare è prepararsi atleticamente. Quindi la mattina alle sei, prima di andare in ufficio si fa una corsa di tre chilometri e suda come un cinghiale. Quasi sempre detesta la corsa, ma il suo bisogno di essere pronto gli fa sopportare la fatica di quei tre o cinque chilometri del piffero e si allena. Più o meno come faccio io con la scrittura. È importante per me dire qualcosa? E scrivo… mannaggia se mi costa scrivere! Sudo come quel cinghiale e sbuffo come una locomotiva a vapore degli anni Trenta.

2) Cosa ascolti mentre scrivi?
Ma pure niente. Cioè… mentre scrivo mi possono anche bombardare casa, rubare la macchina o svaligiarmi casa. Non sento neanche le urla della mia colf che protesta per il mio disordine.
I miei sensi vanno in catalessi e non reagirei neanche alla tentazione dell’odore di un panino con la porchetta calda. Neanche al sussurro di Naomi Campbell.
Pensa che speranze ha la colf di essere ascoltata.
Se scrivo, scrivo e basta. Fortunatamente lo faccio in orari improbabili quando i ladri dormono e Naomi Campbell non si sogna neanche lontanamente di aprire gli occhi.

3) Quanto di te metti nelle tue opere?
E qua siamo al “giù la maschera”! Ah già… abbiamo detto niente maschere.
Va bene…confesso: tutti i personaggi maschili hanno i miei difetti, le mie abitudini di vita, non mangiano finocchi lessi, fumano sigari della stessa marca che fumo io come condannati a morte all’ultimo tiro e hanno con le donne lo stesso tipo di rapporto che ho io. A volte descrivo proprio le mie case, il mio giardino, la mia campagna. Se mi scappa la mano, infilo la mia tabaccaia in qualche pagina e faccio fare a qualche collega la figura dello stronzo. Poi mischio tutto e altero tempi, luoghi e situazioni in maniera da non passare il resto dei miei giorni in qualche cella del carcere di Rebibbia. Le riflessioni sono quelle che faccio io e le figure da scemo anche. Quindi a stringere… direi che io nelle cose che scrivo ci passeggio comodamente e ci faccio bivaccare i miei pensieri. Poi magari vado allo scopo del libro che come ti dicevo è sempre quello di dire le cose che in quel momento ho voglia di dire.

4) Il genere che preferisci scrivere?
A me piace scrivere delle cose reali, verosimili o che accadono sul serio. La vita è una roba che a scrivere una sceneggiatura che lontanamente le possa somigliare è impossibile. Sono realista e moderatamente ottimista. Il che non vuol dire che scrivo cose verosimili che portano sempre a conclusioni ottimistiche. Le mie conclusioni sui fatti della vita a volte sono peggiori di quelle dei momenti bui di Leopardi, ma solo perché conosco le persone e il mondo e quindi so dove certe cose vanno a parare. Scrivo con cinismo delle debolezze umane e i miei personaggi hanno nomi comuni, tipo Teresa, Augusto, Giovanni. Ma tu dimmi se vai in giro e trovi un tassista che si chiama Dylan? Forse si chiamerà Antonio se ha un nonno con un nome decente ma magari si chiamerà anche Calogero e te non potrai farce niente… non è che lo poi chiama’ in un altro modo se quello se chiama Calogero. Ora se voglio che il mio tassista finisca in un guaio che ho appena immaginato per il prossimo capitolo del libro, faccio fatica a chiamarlo Dustin. E quindi alla fine comanda sempre questo cinico, irridente e fottuto realismo nel quale mi avranno battezzato da piccolo, forse perché a corto di acquasanta.

5) Il libro che ti ha dato coraggio per buttarti nel mondo della scrittura.
A me nel mondo mi ci ha buttato mio padre. Altro che libro! A cinque anni faccio una qualche marachella di cui non ricordo il senso e mio padre per punirmi mi porta in un cantiere dove aveva un furgoncino con un carico di mattoni e mi dice: scaricali.
Io piagnucolando mi arrampico su un asse di legno messo lì a posta e inizio il mio lavoro. Finisco e vado a sedermi vicino a mio padre piangendo e deciso a non ripetere più quella tale marachella. Mio padre mi guarda e fa: beh… che piangi? Mica hai finito. Adesso riprendi tutti i mattoni e riportali sul furgoncino.
Quando tornai a casa avevo le mani sanguinanti e ferite al punto che non riuscivo a chiuderle. Mia madre voleva cavare gli occhi a mio padre e credo che se hanno mai una sola volta rischiato il divorzio fu quella. Da quell’episodio capii una cosa che mi è rimasta chiara per tutta la vita e cioè che se compi una qualunque azione, questa comporta una conseguenza di cui devi conoscerne la portata. Ero entrato nel mondo.
Poi a quei tempi ai ragazzini si regalava “Cuore” di Edmondo De Amicis. Era un libro pieno di valori che oggi giudichiamo nell’ambito della retorica. Eppure penso che una qualche influenza su di me quel libro l’ha avuta. Certo non aiutava i timidi ma poi a diciotto anni ho gettato la timidezza in qualche bar di San Lorenzo (quartiere di Roma).

Ma parlavo del mondo della scrittura…no del mondo in generale.

Ah ecco… il mondo della scrittura. Io questa storia la racconto spesso ridendoci sopra e anche se qualcuno magari la conosce già, forse vale la pena raccontare
Io ho iniziato tutto da una burla. Avevo partecipato la sera prima che iniziasse un week end di inizio estate di qualche anno fa, a una festa di quarantenni a Fregene.
Sconforto totale: panze e minigonne improbabili che ballavano Y.M.C.A. e tutta l’enciclopedia del riciclato sicuro post divorzio, post separazione, post incasinamento.
Il giorno dopo avevo solo voglia di prendere in giro certi stereotipi maschili e femminili e allo stesso tempo esprimere la mia disapprovazione totale per il pregiudizio in genere.
La spiaggia mi offriva il solito copione stantio e me ne restai sotto al patio della mia casa al mare a fumare sigari uno dietro l’altro. Avevo un PC e iniziai a scrivere una storia nella quale infilai tutto il campionario delle inconcludenze maschili e femminili, spacciando il prodotto per una storia erotica.
Agitai i personaggi mutuandoli dalla mia stessa vita e gli feci combinare un bel po’ di pasticci. Avevo in realtà il solo scopo di prendere a calci nel sedere l’ipocrisia del perbenismo e lo feci.
Sapevo che esisteva una nota piattaforma online che permetteva di pubblicare in maniera indipendente qualsiasi cosa e lo feci senza curarmi di editor, copertine, sinossi e altre menate simili.
Aspettai qualche giorno con la curiosità di leggere qualche commento e venne giù il mondo.
Quella storia di 260 pagine credo, buttata giù in un solo week end sfondò tutte le classifiche e finì per vendere copie persino in Giappone e in Egitto. Un numero impressionate per uno che a malapena conosceva il suo vicino di casa.
Da quel momento fui inondato di messaggi sulla mia pagina social da parte di lettori a cui avevo aperto la mente con quel libro e fatto vedere come la vita di ognuno è composta da di fili invisibili che costruiscono gabbie inesistenti dalle quali spesso ci manca la voglia o la forza di evadere.
Il successo di quel libro ha scosso le mie resistenze a scrivere in forma pubblica e ho continuato.

6) Cosa preferisci: discorso diretto, indiretto, entrambi?
Sono diretto come il treno ad alta velocità tra Roma e Firenze. Nella scrittura e nella vita non le mando a dire. Se mi piace una donna la fermo per strada e glielo dico. Se devo descrivere qualcosa, lo faccio usando un linguaggio chiaro e non interpretabile. Poi magari trovo il modo per dire cose sconvenienti usando a volte l’ironia a volte il cinismo in altre ancora so essere anche feroce se serve. Non mi piacciono le storie allusive né le persone che parlano in maniera leziosa.
Sono convinto che si può essere eleganti anche nel proferire un’offesa se questa è confezionata con parole che raggiungono lo scopo senza passare per la volgarità.

7) Cosa ti aiuta quando ti blocchi con la scrittura?
Se mi blocco non vado in depressione ma apro una bottiglia di vino buono che mi conserva un mio amico di Guadagnolo (Roma) e me la scolo insieme a qualche amico. A parte un blocco di quasi quattro anni dovuto alla fine di un libro che saccheggiò talmente tanto la mia vita privata da farmi odiare l’uso della tastiera anche per il lavoro, se mai dovessi ricapitarmi, festeggerei la cosa con non poco sollievo. Significa che avrò più tempo da dedicare alla mia campagna, ai miei animali, alle signore e al poligono.

8) Hai una beta reader per le tue storie?
Ma certo che sì. Ho tre amiche: Enrica, Elisa e Sabrina, con le quali ho una chat sulla quale ci ammazziamo di risate e ci prendiamo in giro H24, parlando anche dei problemi di tutti i giorni. Persone che questo mondo mi ha permesso di conoscere e alle quali non rinuncerei neanche se dovessi smettere di scrivere (cosa che probabilmente farò prima di finire in qualche RSA o in qualche sanatorio per malati di mente). A loro passo anche i messaggi che scrivo a mia madre per ricordarle di prendere la pillola per la pressione. Inevitabile che finisca che siano loro il mio primo test di lettura. Se mi dicono: sto capitolo è una ca@@ta, lo riscrivo perché è sicuro che lo è. Alla fine finisce che se una cosa non piace a loro non piace neanche a me. Sono arrivato al punto di usare di proposito la d eufonica anche in un libro di 500 pagine, solo per il gusto di dare fastidio a una di loro che salta sulla sedia come una tarantolata quando ne incontra una. Poi ovviamente le cancello ma la fatica di togliere due o tremila d eufoniche in un libro, vale il gusto e il piacere dello scherzo.

9) Il tuo libro preferito?
“La metamorfosi” di Franz Kafka, “Delitto e castigo” di 
Fëdor Dostoevskij e “Moana Pozzi. La santa peccatrice” di un tale che credo si chiami Pippo Russo, ma si poteva chiamare pure Pinco Pallino che io un libro su Moana Pozzi non lo avrei perso neanche se l’avesse scritto il Diavolo in persona.

10) Il primo libro letto?
Credo “Viaggio al centro della Terra” di Verne. Ma potrebbe essere anche “Oliver Twist” di Dickens o forse qualcosa di Salgari. Ma che ne so che ho letto come primo libro. Avevo cinque anni. Comunque roba scritta da gente geniale che ha avuto un effetto dopante. Il problema è smettere di leggere non quello di iniziare.

Grazie a Giordano per la chiacchierata

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