Segnalazione:
Titolo: LE REGOLE DI
HIBIKI
Autore: Cristiano Pedrini
Genere: Narrativa
Numero di pagine : 242
Pubblicato con FDbook – collana “Auto
da fe”
Sinossi:
Hibiki
vive a Londra, ha diciotto anni, una vita difficile alle spalle e Owen, il suo
fratellino dodicenne e malato di cui prendersi cura.
Da
quando è morta la loro madre e sono rimasti soli il compito del fratello
maggiore è di occuparsi della casa e delle loro vite e per questo si
prostituisce, almeno fino a quando Owen non lo prega di smettere. È così che
troverà lavoro come fattorino per un grande studio dove conoscerà Chris, uno
dei più grandi avvocati di Londra, ricco e importante uomo d’affari che sembra
irraggiungibile, ma che al tempo stesso pare subito interessato a quello
sfacciato, ragazzino che tiene sempre la testa alta e non si fa mettere i piedi
in testa da nessuno.
BREVE ESTRATTO dal capitolo I
Il giovane si appoggiò al bancone della reception
porgendo un timido saluto che l’addetto, nella sua elegante divisa color
porpora, contraccambiò sorridendogli.
Ormai quest’ultimo conosceva bene quel ragazzo
dall’aspetto sciatto che, periodicamente, entrava nella hall dell’elegante
albergo, per raggiungere la suite presidenziale.
«È già arrivato… mi ha pregato di dirti di salire
subito» gli disse indicando gli ascensori.
Il ragazzo annuì. Infilò le mani nelle tasche dei
jeans e raggiunse l’ascensore attraversando l’immenso atrio, a quell’ora
praticamente deserto. Difficilmente in altri orari sarebbe potuto passare
inosservato dinnanzi al via vai di clienti facoltosi: l’avrebbero sicuramente
squadrato dall’alto in basso.
Ora invece sapeva che non avrebbe incontrato nessuno
e, quando le porte della cabina si aprirono davanti ai suoi occhi, si vide
riflesso nello specchio che ricopriva la parete interna dell’ascensore.
Varcò la soglia pigiando distrattamente il pulsante
dell’ultimo piano.
Mentre sentiva la cabina salire speditamente, rimase
con lo sguardo fisso sulla sua immagine. Si passò le mani tra i capelli corvini
che gli coprivano parte della fronte, evidenziando i suoi occhi verdi. Quella
tonalità così insolita, simile al colore degli smeraldi più puri. La gemma amata fin dai tempi di Cleopatra e che
l’antica sovrana d’Egitto adorava. Una storia che sua madre, da sempre
appassionata di quel periodo storico, gli aveva
raccontato più volte. Non gli bastava averlo chiamato con quel nome assurdo,
pensò il ragazzo sorridendo al ricordo, aveva rincarato la dose con quel
nomignolo… Hibi
Green… che ripeteva
in continuazione, davanti a parenti o a perfetti sconosciuti. Forse molti dei
suoi complessi infantili derivavano proprio da quel tipo di atteggiamenti, che
in
qualche modo aveva involontariamente subito.
Si massaggiò il viso, toccandosi gli sparuti peli
della barba… non se la faceva da quasi due settimane anche se, dopotutto, non
aveva notato poi molta differenza rispetto a quando si radeva quotidianamente.
Quando le porte si riaprirono si voltò velocemente,
avviandosi attraverso il lungo corridoio che portava alla suite. Lo percorse
meccanicamente: era un tragitto che aveva imparato a memoria, immerso nella
quiete della sera. Ormai conosceva ogni particolare del disegno che ornava la
lunga passatoia di color avorio che lo stava accompagnando a destinazione.
Si arrestò davanti alla doppia porta, racchiusa in un
pesante ed elaborato stipite di gesso bianco. Bussò tre volte ed entrò senza
attendere alcuna risposta, come era abituato a fare.
La suite era deserta, illuminata soffusamente dalle
lampade poste su alcuni tavolinetti di radica, che infondevano un senso di
discrezione e al tempo stesso di opacità e di immaterialità a quell’ambiente
sfarzoso. Un appartamento da quattrocento sterline a notte. Il suo amico si era
trattato sempre bene e non aveva mai voluto cambiare il luogo
dell’appuntamento.
Oltrepassò il largo tappeto persiano che ricopriva
gran parte del pavimento di marmo, fino a raggiungere il letto a baldacchino.
Si sedette sul fondo in attesa, incrociando le braccia.
Non era certo la prima volta che si trovava in quel
luogo, tuttavia il suo disagio era sempre lo stesso che aveva avvertito fin
dall’inizio. Sentiva il suo cuore battere sempre più velocemente sapendo che,
in fondo, essere in quella stanza lo faceva sentire sporco.
Sporco non tanto verso se stesso quanto verso colui
che, per l’ennesima volta, aveva ingannato per ritrovarsi lì.
All’improvviso qualcosa gli chiuse gli occhi,
gettandolo nell’oscurità.
«Bentornato piccolo Hibiki» sussurrò una voce che conosceva
bene, così come il profumo amaro emanato da quelle mani, che non ebbe
esitazioni a riconoscere.
Il ragazzo prese i palmi dell’individuo dal suo viso,
e li abbassò. Si voltò lentamente replicando: «Ti piacciono sempre le entrate a
effetto…» osservò sollevando il sopracciglio, iniziando a sfilarsi la giacca di
panno.
«Oggi sei più imbronciato del solito, tesoro… dai,
mostrami il tuo bel sorriso» lo pregò l’uomo, mettendosi di fronte a lui.
Hibiki sollevò lo sguardo guardandolo divertito.
Conosceva Gregory Hewitt da tre mesi e per tutto
questo tempo, nonostante i loro incontri, non aveva ancora imparato ad
accettare il semplice fatto che a lui, di sorridere o di mostrarsi
accondiscendente, non gliene importava nulla.
A quell’uomo interessava qualcuno da accarezzare, da
stringere a sé e da possedere per riempire qualche ora delle sue notti
solitarie. In cambio otteneva quello che gli era necessario per andare avanti,
nient’altro.
«Toccami, fai quello che vuoi… – gli aveva detto
Hibiki al loro primo incontro – ma non credere di
poterti innamorare di me… ed evita di perdere tempo a
farmi stupidi regalini; io non sono un animaletto da compagnia» aveva replicato
con quel tono sprezzante che aveva sbalordito Gregory, facendogli provare da
subito un’incredibile attrazione per quel ragazzino che poteva permettersi di
sbattergli in faccia le sue condizioni.
E da subito lo volle accontentare.
Si sedette sulla poltrona del salotto antistante il
letto.
Si sciolse il nodo della cravatta e dopo essersi
versato uno sherry, con dell’abbondante ghiaccio, si rivolse al suo ospite:
«Bene, come desideri, allora spogliati…»
Hibiki non replicò. Si avvicinò, restando dinnanzi a
lui, su quell’immenso tappeto dai toni scarlatti. Fece scorrere le sue mani
lungo la maglietta tarlata sul bordo inferiore, sollevandola fino a levarsela.
La lasciò cadere ai suoi piedi prima di togliersi le
scarpe Converse, un tempo di colore bianco, facendo pressione sui talloni.
Anch’esse finirono a poca distanza dalla t-shirt.
Gregory, sorseggiando dal bicchiere, non riusciva a
distogliere lo sguardo da quel corpo ancora acerbo, ma che era in grado di
attrarre e sedurre chiunque restasse a fissare quella carnagione fresca, dello
stesso colore del latte, pura e mai profanata. Sapeva che per quel ragazzo, da
pochi mesi maggiorenne, era la prima volta da solo con un uomo ricevendo quel
genere di attenzioni, tuttavia
si era presentato come il più navigato e sicuro dei ragazzi da compagnia, come aveva sentito soprannominarli nell'ambiente.
«Prosegui…» gli ordinò l’uomo passandosi le mani tra i
capelli castani, aspettando che le mani del ragazzo si animassero e si
muovessero di nuovo, raggiungendo la zip dei jeans.
Slacciò l’unico bottone e lasciò che l’indumento
scendesse da solo, lentamente, fino ai suoi piedi, rimanendo immobile per
diversi attimi che a Gregory parvero interminabili, assorto com'era nel
rimirare quelle gambe snelle e prive di muscoli ma al contempo armoniose e
degne di essere avvolte in un lungo e appassionato massaggio.
Attese che il ragazzo le alzasse di poco,
oltrepassando gli abiti rimasti sul tappeto, e quando lo vide avvicinarsi alzò
la mano, intimandogli di rimanere dov'era.
«Voltati…»
«Sei uno di quelli a cui piace solo guardare?»
sussurrò il ragazzo ubbidendo alla richiesta.
«Ora unisci le tue mani, portandole dietro la nuca» si
sentì ordinare.
«Come desideri» replicò Hibiki.
CONTATTI &AUTORE
Maria Capasso