mercoledì 3 novembre 2021

Segnalazioni

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Segnalazioni



Sinossi
Secondo un vecchio ma efficace cliché, la prima fotografa della storia fu santa Veronica. La leggenda narra che vedendo Cristo piegato sotto il peso della croce, ricoperto di sudore e sangue, Veronica si sia avvicinata e gli abbia asciugato il viso con un panno, sulla cui tela rimasero impressi i tratti di Gesù. Ecco, allora, il primo ritratto “fotografico” della storia.
Bisognerà aspettare l’inizio dell’Ottocento per un procedimento chimico e meccanico in grado di rivaleggiare con la Veronica, quando in pochi mesi, quasi in contemporanea, Niépce e Daguerre, Fox Talbot e Bayard arrivano a mettere a punto l’invenzione fatale che Sir John Herschel battezza col nome di fotografia.
I primi ritratti fotografici servono per catalogare e studiare le tribù indigene di Asia e Africa, ma anche a Lombroso per mettere a punto il concetto di fisiognomica criminale e a Galton per cercare sostegno alle sue idee sull’eugenetica. Nel frattempo, per l’apparato burocratico statale la fotografia diventa una risorsa indispensabile, da declinare in milioni di ritratti in formato tessera, già prima che la propaganda la sfrutti per raccontare e sostenere il potere. Ma se da un lato il ritratto viene usato per analizzare e incasellare gli esseri umani, dall’altro sono presto evidenti le potenzialità estetiche di questa tecnica rivoluzionaria. Nadar la eleva all’altezza dell’arte figurativa classica, aprendo la strada ai grandi fotografi di ritratto: da Margaret Cameron a Lewis Hine, da Dorothea Lange a Richard Avedon, fino ai capolavori di Cartier-Bresson, “il Mozart della fotografia”.
Che siano immagini glamour accuratamente studiate in teatri di posa o scatti rubati alla realtà inconsapevole, i ritratti raccontano tanto sul soggetto rappresentato quanto sul fotografo, sulla sua visione del mondo e sull’idea che sorregge quello scatto. Un gioco di specchi affascinante in cui si riflette la storia di come l’uomo ha codificato la propria immagine, di come osserva e rappresenta se stesso. Un gioco in cui si è appassionatamente fatto coinvolgere Ferdinando Scianna, che, mentre costruisce il suo personalissimo percorso nella storia della fotografia, mentre critica o elogia, scarta o riscopre, rivela cosa è il ritratto per uno dei maestri della fotografia italiana.



Sinossi
Si racconta che nel 1899 un giovane Winston Churchill, corrispondente del “Morning Post” durante la seconda guerra boera, abbia incoraggiato un uomo appena ferito di striscio al grido di: «Nervi saldi, ragazzo! Nessuno viene colpito due volte lo stesso giorno». È solo uno degli infiniti aneddoti sul suo conto, ma mette in luce lo strano mix di ironia e cinismo, decisione e combattività che lo portò a essere uno degli uomini più importanti del Novecento.
Sono talmente celebri le sue battute, la sua risolutezza, il suo acume, da far venire il dubbio che in qualche modo Churchill abbia sfruttato le sue doti narrative per costruire in vita un monumento a se stesso: è pur sempre l’unico statista ad aver vinto un premio Nobel per la letteratura. Ma è stato davvero l’uomo del destino, che l’Occidente liberale ha contrapposto ai più bui totalitarismi?
Reduce dal monumentale e acclamato Napoleone il Grande, lo storico Andrew Roberts accetta questa nuova sfida e attinge a una sterminata documentazione (fra cui i diari privati di re Giorgio VI, usati per la prima volta) per redigere anche di Churchill la biografia definitiva. Ne rievoca l’infanzia all’interno dell’aristocrazia inglese, fino all’apprendistato militare in India, segue poi i primi incarichi politici e i compiti assegnatigli durante la prima guerra mondiale.
Qui Churchill impara a risollevarsi dalle sconfitte, facendo tesoro dei suoi stessi errori: come stratega militare fallisce la campagna di Gallipoli, così che all’indomani del conflitto mondiale si trova progressivamente estraniato dal cuore della politica inglese. Eppure, con l’acume e la verve del polemista, è fra i primi a scorgere il pericolo dei totalitarismi.
Così, quando il Regno Unito chiama, è pronto al rispondere: torna alla ribalta durante la seconda guerra mondiale, dimostrando di saper trattare alla pari con Unione Sovietica e Stati Uniti, e nell’ora più buia diviene la voce della nazione, l’uomo risoluto ma fiducioso nel futuro della democrazia attorno a cui si stringe un intero popolo e forse l’intero continente.
Lontano dall’agiografia ma non immune al fascino del personaggio, Churchill, la biografia restituisce tutte le luci dell’intelligenza e le ombre del carattere (tra sospetti di alcolismo, cronica umoralità e crolli depressivi) di un uomo che non fu un predestinato, ma un fabbro del proprio, e del nostro, destino.


Sinossi
Mettere ordine tra i libri, come sanno tutti i lettori, è un po’ come mettere ordine nella vita: ognuno lo fa a modo suo e nessuno ci riesce mai veramente. Le variabili sono innumerevoli: l’argomento, l’affetto che ci lega ai diversi volumi, la loro altezza, larghezza e peso, ma anche le dimensioni del mobile libreria, la disposizione delle pareti e delle stanze di casa (i libri di cucina in cucina? I libri più letti sul comodino accanto al letto?). In più, si trasloca, si rompono convivenze (e si separano anche le librerie), si cambiano gusti.
Il fatto è che i libri sono una tecnologia complessa: hanno una lunga storia, moltissimi usi, tradizioni estetiche disparate. Riuscire a tenere comodamente in mano un volume e decidere dove metterlo può sembrare un atto scontato, ma porta con sé il peso di secoli di addomesticamento del sapere: dalle tavolette alla pergamena al libro a stampa, dal tablinum degli antichi romani agli scriptoria medioevali alle boiseries vittoriane, dai monasteri ai palazzi nobiliari ai monolocali in periferia, i volumi hanno sempre richiesto un loro posto, un ordine, un metodo.
Alessandro Mari, insieme a Ginevra Azzari e Matilde Piran, ci offre questo brioso manuale, dove la storia si mescola con la falegnameria, la filosofia con l’architettura di interni e il marketing editoriale con la vita quotidiana. Come dispongono i loro libri gli scrittori? Quanti libri contiene una libreria Billy di Ikea? È giusto disporre i volumi sullo scaffale per colore del dorso? O bisogna attenersi a un rigido ordine alfabetico (o cronologico)? Ci sono davvero risposte definitive a queste – e mille altre – domande?


Sinossi
«Per me la neve è una vecchia storia, una storia d’amore collettiva. C’era un periodo dell’anno in cui eravamo certi che sarebbe caduta, portando il silenzio e la gioia.» Per Daniele Zovi, nato tra le vette che incorniciano l’altopiano di Asiago, la neve fa parte del paesaggio della memoria, lo spazio fisico in cui si muovono i nostri ricordi. Quello con dar snea – come la neve viene chiamata nella lingua cimbra dell’altopiano – è un amore iniziato fin da bambino, mentre osserva i fiocchi scendere lenti, e rimasto poi costante e appassionato in una vita di lavoro da forestale.
Attraverso racconti personali e leggende, studi e dati scientifici, Zovi ripercorre in queste pagine la sua educazione alpina. Seguiamo i suoi passi lungo i sentieri innevati, dalle esplorazioni sugli sci dell’adolescenza, sulle montagne di casa, alle marce militari lungo le vie della Grande guerra, dai viaggi in Russia e sulle Ande fino alle pendici dei grandi ghiacciai himalayani, dove, incastonata nei cristalli, è conservata la memoria biologica del nostro pianeta.
Tra i boschi e il ghiaccio, ci ritroviamo immersi in un mondo fantastico, fragile e silenzioso, di cui, in questi ultimi tempi, abbiamo cominciato a perdere esperienza: mentre ogni anno le precipitazioni nevose diminuiscono drammaticamente, Zovi compone un’autobiografia poetica, un omaggio a un mondo ogni giorno più precario: una spedizione di recupero verso il proprio passato, e un urgente tentativo di salvaguardare la nostra storia, racchiusa nella neve.


Sinossi
«I rompicapo non rappresentano un semplice divertimento o strumenti per ammazzare il tempo. Per noi, come per i nostri antenati, contribuiscono a indicare la strada verso il potenziale creativo che abbiamo dentro.»

Tutti, prima o poi, hanno avuto fra le mani la creazione del signor Rubik, quel Cubo che, con il suo meccanismo semplice e diabolico, ha stimolato (e frustrato) l’acume e la creatività di intere generazioni. Ma il Cubo non è solo il rompicapo più famoso al mondo: nella sua forma essenziale, nei colori iconici che, allineati, segnano una conquista del pensiero logico, è distillata la curiosità e l’intelligenza del suo creatore.
Perché dietro il Cubo c’è Ernő, prima brillante studente del Politecnico di Budapest, poi designer amante dei giocattoli, infine fondatore di un impero simbolico ed economico. In un racconto che non segue tanto la cronologia, quanto la struttura prismatica e sfaccettata della sua mente, Rubik ci accompagna nelle sue memorie: l’Ungheria del Dopoguerra, le vicende familiari, i rompicapi con cui è cresciuto, gli oggetti della sua giovinezza che lo hanno inspirato. E poi, inaspettato, il successo: milioni di giocattoli venduti ovunque, che hanno trasformato una piccola invenzione in un simbolo riconosciuto in tutto il globo.
Non è solo il racconto di una parabola eccezionale, ma è anche un’occasione per sbirciare nella mente di un genio, scoprendo le misteriose mappe mentali che gli hanno permesso di combinare estetica e logica, divertimento e matematica, ricerca pura e design artigianale in un unico oggetto, un oggetto che tuttora strega e incanta milioni di persone.
Perché una cosa è certa: ancora oggi ordinare il Cubo di Rubik significa incastrare i propri pensieri, cambiare di posto alle proprie certezze, mettere a posto i tasselli del proprio cosmo.








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