martedì 16 maggio 2017

Segnalazione:

Titolo: LE REGOLE DI HIBIKI 
Autore: Cristiano Pedrini
Genere: Narrativa
Numero di pagine :  242
Pubblicato con FDbook – collana “Auto da fe”


Sinossi:

Hibiki vive a Londra, ha diciotto anni, una vita difficile alle spalle e Owen, il suo fratellino dodicenne e malato di cui prendersi cura.
Da quando è morta la loro madre e sono rimasti soli il compito del fratello maggiore è di occuparsi della casa e delle loro vite e per questo si prostituisce, almeno fino a quando Owen non lo prega di smettere. È così che troverà lavoro come fattorino per un grande studio dove conoscerà Chris, uno dei più grandi avvocati di Londra, ricco e importante uomo d’affari che sembra irraggiungibile, ma che al tempo stesso pare subito interessato a quello sfacciato, ragazzino che tiene sempre la testa alta e non si fa mettere i piedi in testa da nessuno.


BREVE ESTRATTO dal capitolo I
Il giovane si appoggiò al bancone della reception porgendo un timido saluto che l’addetto, nella sua elegante divisa color porpora, contraccambiò sorridendogli.
Ormai quest’ultimo conosceva bene quel ragazzo dall’aspetto sciatto che, periodicamente, entrava nella hall dell’elegante albergo, per raggiungere la suite presidenziale.
«È già arrivato… mi ha pregato di dirti di salire subito» gli disse indicando gli ascensori.
Il ragazzo annuì. Infilò le mani nelle tasche dei jeans e raggiunse l’ascensore attraversando l’immenso atrio, a quell’ora praticamente deserto. Difficilmente in altri orari sarebbe potuto passare inosservato dinnanzi al via vai di clienti facoltosi: l’avrebbero sicuramente squadrato dall’alto in basso.
Ora invece sapeva che non avrebbe incontrato nessuno e, quando le porte della cabina si aprirono davanti ai suoi occhi, si vide riflesso nello specchio che ricopriva la parete interna dell’ascensore.
Varcò la soglia pigiando distrattamente il pulsante dell’ultimo piano.
Mentre sentiva la cabina salire speditamente, rimase con lo sguardo fisso sulla sua immagine. Si passò le mani tra i capelli corvini che gli coprivano parte della fronte, evidenziando i suoi occhi verdi. Quella tonalità così insolita, simile al colore degli smeraldi più puri. La gemma  amata fin dai tempi di Cleopatra e che l’antica sovrana d’Egitto adorava. Una storia che sua madre, da sempre
appassionata di quel periodo storico, gli aveva raccontato più volte. Non gli bastava averlo chiamato con quel nome assurdo, pensò il ragazzo sorridendo al ricordo, aveva rincarato la dose con quel nomignolo… Hibi Green… che ripeteva in continuazione, davanti a parenti o a perfetti sconosciuti. Forse molti dei suoi complessi infantili derivavano proprio da quel tipo di atteggiamenti, che in
qualche modo aveva involontariamente subito.
Si massaggiò il viso, toccandosi gli sparuti peli della barba… non se la faceva da quasi due settimane anche se, dopotutto, non aveva notato poi molta differenza rispetto a quando si radeva quotidianamente.
Quando le porte si riaprirono si voltò velocemente, avviandosi attraverso il lungo corridoio che portava alla suite. Lo percorse meccanicamente: era un tragitto che aveva imparato a memoria, immerso nella quiete della sera. Ormai conosceva ogni particolare del disegno che ornava la lunga passatoia di color avorio che lo stava accompagnando a destinazione.
Si arrestò davanti alla doppia porta, racchiusa in un pesante ed elaborato stipite di gesso bianco. Bussò tre volte ed entrò senza attendere alcuna risposta, come era abituato a fare.
La suite era deserta, illuminata soffusamente dalle lampade poste su alcuni tavolinetti di radica, che infondevano un senso di discrezione e al tempo stesso di opacità e di immaterialità a quell’ambiente sfarzoso. Un appartamento da quattrocento sterline a notte. Il suo amico si era trattato sempre bene e non aveva mai voluto cambiare il luogo dell’appuntamento.
Oltrepassò il largo tappeto persiano che ricopriva gran parte del pavimento di marmo, fino a raggiungere il letto a baldacchino. Si sedette sul fondo in attesa, incrociando le braccia.
Non era certo la prima volta che si trovava in quel luogo, tuttavia il suo disagio era sempre lo stesso che aveva avvertito fin dall’inizio. Sentiva il suo cuore battere sempre più velocemente sapendo che, in fondo, essere in quella stanza lo faceva sentire sporco.
Sporco non tanto verso se stesso quanto verso colui che, per l’ennesima volta, aveva ingannato per ritrovarsi lì.
All’improvviso qualcosa gli chiuse gli occhi, gettandolo nell’oscurità.
«Bentornato piccolo Hibiki» sussurrò una voce che conosceva bene, così come il profumo amaro emanato da quelle mani, che non ebbe esitazioni a riconoscere.
Il ragazzo prese i palmi dell’individuo dal suo viso, e li abbassò. Si voltò lentamente replicando: «Ti piacciono sempre le entrate a effetto…» osservò sollevando il sopracciglio, iniziando a sfilarsi la giacca di panno.
«Oggi sei più imbronciato del solito, tesoro… dai, mostrami il tuo bel sorriso» lo pregò l’uomo, mettendosi di fronte a lui.
Hibiki sollevò lo sguardo guardandolo divertito.
Conosceva Gregory Hewitt da tre mesi e per tutto questo tempo, nonostante i loro incontri, non aveva ancora imparato ad accettare il semplice fatto che a lui, di sorridere o di mostrarsi accondiscendente, non gliene importava nulla.
A quell’uomo interessava qualcuno da accarezzare, da stringere a sé e da possedere per riempire qualche ora delle sue notti solitarie. In cambio otteneva quello che gli era necessario per andare avanti, nient’altro.
«Toccami, fai quello che vuoi… – gli aveva detto Hibiki al loro primo incontro – ma non credere di
poterti innamorare di me… ed evita di perdere tempo a farmi stupidi regalini; io non sono un animaletto da compagnia» aveva replicato con quel tono sprezzante che aveva sbalordito Gregory, facendogli provare da subito un’incredibile attrazione per quel ragazzino che poteva permettersi di sbattergli in faccia le sue condizioni.
E da subito lo volle accontentare.
Si sedette sulla poltrona del salotto antistante il letto.
Si sciolse il nodo della cravatta e dopo essersi versato uno sherry, con dell’abbondante ghiaccio, si rivolse al suo ospite: «Bene, come desideri, allora spogliati…»
Hibiki non replicò. Si avvicinò, restando dinnanzi a lui, su quell’immenso tappeto dai toni scarlatti. Fece scorrere le sue mani lungo la maglietta tarlata sul bordo inferiore, sollevandola fino a levarsela.
La lasciò cadere ai suoi piedi prima di togliersi le scarpe Converse, un tempo di colore bianco, facendo pressione sui talloni. Anch’esse finirono a poca distanza dalla t-shirt.
Gregory, sorseggiando dal bicchiere, non riusciva a distogliere lo sguardo da quel corpo ancora acerbo, ma che era in grado di attrarre e sedurre chiunque restasse a fissare quella carnagione fresca, dello stesso colore del latte, pura e mai profanata. Sapeva che per quel ragazzo, da pochi mesi maggiorenne, era la prima volta da solo con un uomo ricevendo quel genere di attenzioni, tuttavia
si era presentato come il più navigato e sicuro dei ragazzi da compagnia, come aveva sentito soprannominarli nell'ambiente.
«Prosegui…» gli ordinò l’uomo passandosi le mani tra i capelli castani, aspettando che le mani del ragazzo si animassero e si muovessero di nuovo, raggiungendo la zip dei jeans.
Slacciò l’unico bottone e lasciò che l’indumento scendesse da solo, lentamente, fino ai suoi piedi, rimanendo immobile per diversi attimi che a Gregory parvero interminabili, assorto com'era nel rimirare quelle gambe snelle e prive di muscoli ma al contempo armoniose e degne di essere avvolte in un lungo e appassionato massaggio.
Attese che il ragazzo le alzasse di poco, oltrepassando gli abiti rimasti sul tappeto, e quando lo vide avvicinarsi alzò la mano, intimandogli di rimanere dov'era.
«Voltati…»
«Sei uno di quelli a cui piace solo guardare?» sussurrò il ragazzo ubbidendo alla richiesta.
«Ora unisci le tue mani, portandole dietro la nuca» si sentì ordinare.
«Come desideri» replicò Hibiki.



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Maria Capasso

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